Funzioni discontinue


Trova le differenze…

A sinistra il mio studio PRIMA dell’incendio del piano di sotto che ha creato danni anche nel mio appartamento, a destra DOPO… Mancano i LEGO, che sono giù in garage, negli scatoloni, pieni di fuliggine, da pulire uno per uno con attenzione e molta pazienza: ci penserò ormai questo inverno, primavera/estate/autunno sono le stagioni della moto e delle immersioni…

Ci sono voluti quattro mesi esatti per rimettere casa a posto: le prime cinque settimane durante le quali io e moglie abbiamo vissuto a casa dei miei genitori e ogni weekend per cinque weekend abbiamo pulito e pulito e pulito e messo negli scatoloni e spostato mobili e pulito ancora. Per tre mesi abbiamo poi dormito in un casa ridotta all’osso: camera, bagno e cucina, in salone giusto un divano e una TV (e chi mi conosce sa quanto adoro il mio impinato home theatre), le altre stanze usate come magazzino di mobili, libri e Lego etc. giù in garage negli scatoloni. Per quattro mesi ogni giorno andavo a lavorare dai miei, dove avevo trasferito l’essenziale dello studio. Finalmente la settimana scorsa abbiamo tinteggiato e ora abbiamo rimesso tutto in ordine.

A qualcuno verrà in mente la parola resilienza eppure è un concetto che io non sopporto…

Sul lavoro, un manager che invoca la resilienza mostra incapacità progettuale, assenza di visione e impotenza: ha perso il controllo della situazione, si limita quindi al solo organizzare il miglior modo per assimilare il trauma a venire. La resilienza è virtù del precario, di chi subisce il ricatto perenne degli eventi. Resiliente è chi acconsente, chi tollera, chi è remissivo, chi si adegua, chi si arrangia, chi non si prepara. La resilienza è una qualità sopravvalutata, imposta dai manager che non riescono più a gestire tutti i rischi, derubricando la necessità di non fallire ad opportunità.

Resilienza viene dal latino resilīre: “saltare indietro” o “rimbalzare”. Se quindi è necessario fare un passo indietro per ammortizzare lo shock, allora perché non approfittarne anche per fermarsi e (invece di guardare a passati defunti e riprendere a correre verso il baratro) reagire? Perchè quindi non essere reazionari invece che resilienti?

Affinchè ciò avvenga è però necessario che si nobiliti la proclamazione della critica alla situazione attuale di un progetto o (di un’azienda). Andando magari anche oltre la democrazia d’opinione, perchè se la democrazia anela a corrompere la maggioranza con la promessa di beni altrui, il reazionario anela semplicemente a convicere la maggioranza, senza assicurare alcun successo, ma garantendo semplicemente che non verranno dette sciocchezze. Il reazionario pratica il dialogo, il democratico il monologo. E se pure il reazionario con freddezza manca di rispetto all’individuo, sdegna tutti senza disprezzare nessuno.

Nella vita privata, io non sono capace di sopportare il trauma col sorriso e l’ottimismo. Quando soffro sono fatto per precipitare, per morire interamente, per fratturarmi la schiena mentre un ghigno di sangue mi squarcia il costato. Il dolore per me è sempre indimenticabile; la perdita e/o mancanza di qualcosa non la colmo con la speranza o le frasi ad effetto. Però, mentre tutti voi, dopo ogni inciampo, cercate un posto da cui ripartire, alzate lo sguardo perché io sono perennemente da un’altra parte, come in una discontinuità di seconda specie.

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