Le scritte dietro il cesso


Drogarmi in questo bagno d'una camera d'albergo non è stata una buona idea. Mi sono svegliato sul pavimento gelido in piena notte, le piastrelle lucide fuori moda già negli anni '80, il corpo in una posa innaturale, la testa praticamente incastrata tra il muro e la porcellana bianca del gabinetto, l'ago ancora in vena, un rivolo di sangue sulla fronte per la botta, la bocca asciutta, la lingua impastata.

Il primo senso a destarsi è stato l’olfatto. L’odore d’urina proveniente dalla tazza, misto al rancido tipico del vomito, ce l’ho proprio sotto il naso. La vista, invece, arranca per dare un senso a questo senso di disgusto che dalle narici s’infila come un ago nel cervello, materializzandosi in anticipo nello stomaco con spasmi che preludono a un’altra copiosa sboccata di acidi gastrici.

Mentre il corpo è in lotta con sé stesso, la mente, meno frenata dall’inerzia di parti mobili - fossero anche solo le palpebre che pesano come le saracinesche in ferro di un vecchio magazzino, di quelli dove fotografi da quattro soldi ci fotografano modelle seminude in biancoenero - è più rapida ad andare a regime. I ricordi si affollano come zombie che all’improvvisano squarciano la nebbia. La paura di diventarne vittima viene subito scalzata dalla vergogna, che va a braccetto con la consapevolezza che quella carne putrida in forma umana è lì per continuare il banchetto a cui ho partecipato fino a poche ore prima. Li riconosco tutti, come vecchi compagni di baldoria.

Trovo la forza di aprire gli occhi. Lo spettacolo che intravedo con la coda dell’occhio, mentre invano cerco di muovere il collo per liberare la mia testa dalla morsa di porcellana, supera lo schifo che la coppia di Mirò dimostra davanti all’idolo di escrementi che rappresenta la situazione politica della Spagna degli anni trenta. Il mio idolo è invece un singolo, solitario, candido marshmallow che galleggia, come un iceberg alla deriva, in un lago di piscio giallo.

Il gulasch, piatto forte della cena della sera precedente, annaffiato da abbondante Borgogna Rosso di Nuits-St.-Georges, Grand Cru del 1998, è equamente distribuito tra il pavimento, il doppiopetto e le pareti interne della tazza, su cui scivola a rilento per l’attrito con calcare e muffa che vi albergano per contumacia di prodotti igienizzanti.

Eppure non è questa la parte peggiore...

Sono sempre stato una persona meticolosa, al limite della schizofrenia: le camicie nell'armadio per colore, le magliette rigorosamente piegate in tre per sfruttare al meglio - in larghezza e altezza - lo spazio nel cassetto, le scarpe eleganti su ripiani diversi di quelle sportive. Per efficienza, calze e mutande rigorosamente blu o nere.

Drogarsi non esclude idiosincrasie legate all'ordine e alla pulizia, anzi potrebbe addirittura alimentarle. Per esempio, quando cucino pulisco in continuazione, anche se so che dovrò sporcare di nuovo. Perché usare tre forchette quando la stessa può essere lavata e riutilizzata? Asciugare le gocce d'acqua che cadono sul piano cottura dalla pentola in ebollizione è l'esercizio che più mi compiace. Non è facile senza bruciarsi o lasciarci qualche lembo di pelle attaccato al fondo rovente della pentola.

Son solito comprare sempre le stesse conserve, nello stesso discount, perché la dispensa l'ho costruita su misura. Tre file di barattoli, undici barattoli per fila, su due livelli, in rigoroso ordine di scadenza. Anche le siringhe con l'eroina le tengo in ordine. Nella credenza. Insieme al cibo. Credete forse valga la pena nasconderle? Se la Polizia dovesse entrare in casa con un mandato, saprebbe già cosa cercare, dove cercarlo e comunque come trovarlo.

L’ossessione per l’igiene mi costringe a lavare le mani prima e dopo ogni pisciata, e per non vanificare l’effetto della seconda passata, nel caso mi trovassi per inaspettate urgenze in un bagno pubblico, uso sempre un fazzoletto di carta per aprire la porta del bagno. La necessità di liberarsi subito del kleenex infettato dei germi mi rende incurante del galateo ambientale ed è sempre a malincuore che lo lascio cadere in terra. A mio favore gioca in parte il breve tempo di biodegradabilità della cartavelo a quattro strati, che inquina meno dei guanti monouso in lattice che utilizzavo prima.

Quando poi compro un cd o un dvd, la prima cosa da fare è spacchettarlo. Devo togliere la pellicola di plastica trasparente e le pecette adesive che coprono la locandina frontale con inutili informazioni su sconti, siti web, o persino codici a barre per bonus scaricabili gratuitamente. Dice, basta fotografarli con il tuo telefonino per accedere a un mondo di contenuti digitali extra, che sai cosacazzomenefrega io voglio solo vedere il film. Anzi se ci togliete anche i contenuti extra, grazie, non ho mica tempo per guardarli.

Che poi credono forse che siamo tutti Edward Manidiforbice? Queste pellicole son sigillate come a proteggere la Stele di Rosetta dai pulviscoli dell'inquinamento. Non bastano le tue unghie da uomo a scalfirle, strapparle, tagliarle. Ti ci accanisci con tutta la forza di volontà, gratti, sgratti, cerchi di sollevare un lembo e resisti fino all'ultimo prima di dar la caccia alle chiavi in qualche tasca del giaccone.

È sempre pericoloso aprirsi un varco in questo modo, la punta della chiave potrebbe scalfire la custodia. Lo strumento va sempre usato sul bordo, possibilmente lungo la fessura d’apertura superiore, con movimenti lenti e decisi, mai troppo bruschi.

E dopo tanta fatica ti restano ancora quelle odiose etichette. A volte vengono via a pezzi e ti lasciano residui di colla. Invece quelle sugli elettrodomestici nuovi, quelle sì che son “isipil” per dirla alla british maniera, quelle si tolgono facili, vengono via lisce come l'olio. Ed è ovvio che andrebbero tolte, hanno uno scopo informativo, non sono mica decorative, servono solo a darti informazioni di marketing sulle funzioni o le qualità dell'aggeggio che hai appena comprato. Classe tripla A piùpiù per il frigorifero, refresh a seicento hertz per il televisore al plasma, codifica divics per il tablet e schermo scratchproof super amoled plus crystal clear per il telefonino a dimensione tagliere, neanche dovessi affettarci il pane. Sarà per questo che li fanno resistenti ai graffi.

Etichette brutte a vedersi, e allora perché la gente non le toglie? Perché distrarmi l'occhio con informazioni inutili? Se vengo a casa tua per cenare e vedere un film, perché non togli quelle cazzo di pecette di merda dal bordo del tuo televisore che mi ricordano peraltro che ti sei comprato un cesso di LCD invece di un Plasma come t'avevo consigliato io? Perché?

E perché il cameriere di quello squallido locale dove mi hanno trascinato la sera prima, che deve aver imparato il mestiere nelle pizzerie di quartiere, mi ha versato il vino toccando il bordo del bicchiere con il collo della bottiglia? Lo so benissimo dove le tengono le bottiglie. Invece di adagiarle in orizzontale sui ripiani in frassino di una moderna cantina elettrica, coccolati dalla costanza dei quattordici gradi di temperatura al tasso d’umidità del sessantacinque percento, sono invece alla mercé di polveri, insetti e topi nella cantina scavata prima della guerra. Mavaffanculo al padrone della bettola. E un vaffanculo pure al cameriere del cazzo che si dimentica sempre di pulire la bottiglia prima di portarla a tavola, per non disturbare troppo il vino.

Data la serata, avevo avuto quindi motivi a sufficienza per una dose di roba buona. Dopo aver lasciato la tavolata innervosito, avevo chiamato un taxi e avevo fatto cenno di fermarsi al primo Motel a ore sulla strada che avesse almeno tutta l'insegna illuminata. La M che lampeggiava dava un tocco da road movie e il leggero ronzio che emetteva, a intervalli regolari sincronizzati con l’accendi e spegni, era una nenia che mi avrebbe dolcemente accompagnato tra le braccia di Morfeo.

Mi ero spogliato, avevo fatto una doccia e mi ero preparato la dose che porto sempre con me nell'inseparabile ventiquattrore. Avevo stretto il laccio emostatico, sistemato il cucchiaino, l'accendino, la siringa e infine il buio.

Mi son svegliato nudo, disteso sul pavimento, a fissare come uno stronzo il retro della tazza del cesso. L'etichetta ingiallita davanti gli occhi ad annunciarmi marca e qualità antibatteriche della ceramica. Inutile ogni tentativo di alzarmi. La testa mi duole, ho perso molto sangue, il bagno mi gira intorno, riesco appena a muovere gambe e braccia, le forze mancano all'appello, e ogni vano tentativo di grattar via quella inutile etichetta che fa ormai corpo unico con la superficie liscia del wc si risolve in un irritante stridio delle unghie che si spezzano sul bordo della carta.

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